Due importanti elementi sono rimasti fuori da questa discussione.
In secondo luogo, il caso svedese mostra chiaramente come il diritto alla mobilità intraeuropea possa essere limitato da decisioni apparentemente discrezionali da parte delle autorità dei singoli paesi.
L’Unione Europea è un’unione di diversi interessi nazionali.
L’adesione all’Unione Europea è stata vista da parte dei diversi paesi membri come un’opportunità per realizzare interessi in primo luogo nazionali. Per definizione, questi interessi nazionali tendono ad essere diversi da paese a paese.
Non bisogna dimenticare che l’Unione Europea è in primo luogo un’unione doganale all’interno della quale le merci, e non solo le persone, godono (teoricamente) di un “diritto” alla libera circolazione. A questo riguardo, è necessario ricordare come la Svezia sia un paese per vocazione “esportatore” (vale a dire: con la bilancia commerciale tradizionalmente in attivo). Aderendo all’Unione Europea, la Svezia ha avuto l’opportunità di espandere i suoi avanzi commerciali con paesi per vocazione “importatori” come l’Italia (vale a dire: con le bilance commerciali tradizionalmente in passivo).
La Svezia ha infatti registrato avanzi commerciali con l’Italia fino al 2007, cioè fino all’inizio della crisi economica. Questo significa che, fino a quell’anno, il valore delle esportazioni verso l’Italia è stato costantemente superiore al valore delle importazioni dall’Italia.
Il nesso tra l’andamento degli scambi commerciali tra i paesi membri dell’Unione Europea e il diritto alla mobilità dei lavoratori potrebbe non sembrare evidente. Eppure, la libera mobilità dei lavoratori tra i paesi membri dell’Unione Europea è stata pensata proprio come un meccanismo in grado di favorire il riequilibrio di eventuali asimmetrie che si sarebbero potute creare tra economie nazionali che, per quanto integrate in un medesimo mercato comune, rimangono comunque in competizione tra loro (segnalo, a questo proposito, questo recente rapporto per conto della Commissione Europea). In breve, la perdita di competitività di un paese membro nei confronti di un altro paese membro (per esempio, dell’Italia nei confronti della Svezia) avrebbe potuto/dovuto essere compensata dalla possibilità per i lavoratori del primo paese di trasferirsi nel secondo paese (per esempio, dei lavoratori italiani a trasferirsi in Svezia).
La crisi economica sta trasformando le relazioni economiche tra i paesi dell’Unione Europea.
È chiaro che la crisi economica sta modificando la situazione che si era venuta a consolidare fino a pochi anni fa. Vediamo i dati. Dal 2006 al 2012, il valore delle esportazioni dalla Svezia all’Italia è crollato di 10 miliardi di corone svedesi (vale a dire: più di un miliardo di euro!). Nello stesso arco di tempo, il valore delle esportazioni dall’Italia alla Svezia è invece rimasto stabile. Di conseguenza, l’attivo della bilancia commerciale svedese nei confronti dell’Italia si è gradualmente trasformato in un passivo. In sostanza, il valore delle esportazioni dall’Italia alla Svezia è diventato superiore al valore delle esportazioni dalla Svezia verso l’Italia.
È facile individuare il motivo per cui gli italiani acquistano meno prodotti svedesi che in passato. La recessione economica, l’aumento della disoccupazione e le politiche di austerità hanno infatti contribuito a ridurre significativamente la domanda di questi beni (hi-tech e costosi).
Dall’altro lato, il made in Italy non sembrerebbe aver beneficiato dell’aumento del potere d’acquisto dei lavoratori svedesi determinato dai vari jobbskatteavdrag (infatti il valore dell’export dal Bel Paese alla Svezia è rimasto invariato).
La Svezia del 2013 cerca immigrati poco qualificati.
Tuttavia, anche a causa della crisi economica, l’emigrazione dei lavoratori italiani negli altri paesi europei è in crescita. Per quanto la Svezia non sia una delle destinazioni più ambite e desiderate da questa nuova emigrazione, le autorità svedesi vogliono probabilmente “giocare d’anticipo” e prevenire che questa immigrazione aumenti di intensità.
Come vedremo in un prossimo articolo, gli immigrati italiani in Svezia (e, in particolare, quelli che si sono trasferiti negli ultimi anni) tendono ad avere elevati livelli di istruzione e, per questo motivo, riescono spesso a trovare occupazioni molto qualificate.
Tuttavia, la Svezia del 2013 non cerca questo tipo di immigrati. In primo luogo, come abbiamo visto in un precedente articolo, alcuni studi hanno mostrato come la presenza di immigrati europei e molto competitivi nel mercato lavoro contribuisca ad alimentare sentimenti xenofobi tra la popolazione svedese, più della presenza di immigrati non europei e poco competitivi nel mercato del lavoro.
In secondo luogo, la summenzionata riforma che ha recentemente liberalizzato le politiche migratorie svedesi sembrerebbe essere rivolta proprio al secondo tipo di immigrazione, vale a dire all’immigrazione da lavoro poco qualificata proveniente da paesi non europei. Infatti, la maggioranza degli immigrati che sono riusciti ad ottenere un permesso di soggiorno beneficiando del nuovo sistema hanno per lo più trovato occupazioni manuali in settori di impiego già “saturi”, nei quali cioè si registra un’eccedenza (e non una carenza) di offerta di lavoro da parte dei disoccupati già residenti in Svezia (per esempio: il settore delle costruzioni, i settore dei servizi di pulizie, il settore della ristorazione).
In sostanza, le recenti restrizioni all'attribuzione dei permessi di soggiorno agli italiani che cercano trasferirsi in Svezia dovrebbero essere inquadrate nell'attuale fase di evoluzione (o degenerazione) delle relazioni economiche e politiche tra i paesi membri dell’Unione Europea. Inoltre, le “nuove” politiche migratorie svedesi sono rivolte ad immigrati con competenze professionali molto diverse da quelle generalmente possedute dagli immigrati italiani.
Simone Scarpa