Presentato in concorso alla 71° edizione della Mostra internazionale di arte cinematografica di Venezia, il film dello svedese Roy Andersson “En duva satt på en gren och funderade på tillvaron”(ovvero "A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence", e in italiano dovrebbe essere “Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza”) ha conquistato il Leone d'Oro 2014.
A deciderlo, con una scelta da cinefili puri che ha voluto premiare la qualità e la ricerca, la giuria presieduta da Alexandre Desplat e composta da Loan Chen, Philip Groening, Jessica Hausner, Jhumpa Lahiri, Sandy Powell, Tim
A deciderlo, con una scelta da cinefili puri che ha voluto premiare la qualità e la ricerca, la giuria presieduta da Alexandre Desplat e composta da Loan Chen, Philip Groening, Jessica Hausner, Jhumpa Lahiri, Sandy Powell, Tim
Roth, Elia Suleiman e Carlo Verdone.
La vittoria di Andersson è senz’altro una sorpresa, con un verdetto che si è rivelato frutto di lunghe discussioni in giuria. “Argomentazioni appassionate” le ha definite Desplat: “Abbiamo scelto di privilegiare gesti artistici forti, il cui contenuto filosofico e politico ci ha appassionati. È un compito difficile giudicare i nostri colleghi, ma l’abbiamo fatto con passione e onestà”. Dunque si è deciso a maggioranza, e Verdone l’ha rivelato esplicitamente. “Mi è piaciuto ma non ero convintissimo. Certo c’è poesia, emozione, stupore. Gli avrei dato il Leone alla regia. Ma la maggioranza ha deciso per Leone d’Oro”.
Ma che cos’è infine questo “ piccione su un ramo che riflette sull’esistenza”? È un “tripudio di surrealtà”, hanno commentato i giornali italiani. Un film in stile surreal-noir, 101 minuti girati in digitale e montati magistralmente in 39 piani sequenza, senza nessun movimento di macchina e nessun primo piano o piano americano, veri e propri tableaux vivants, ognuno dei quali pregno di significato e di abbacinante splendore visivo. Le scene ricordano, allo stesso tempo, teatrini di cera, i quadri di Edward Hopper, le opere affollate di Bruegel, quelle di Otto Dix, comiche noir e deliranti Wunderkammer. Insomma una vera follia.
Roy Andersson pensa che il punto di vista dei piccioni nei confronti della vita e delle gesta degli umani sia quanto meno originale. Da una tale prospettiva distaccata e “aliena” gli umani appaiono buffi, ossessivi e ripetitivi.
Il bizzarro titolo del film è ispirato a un dettaglio di un celeberrimo quadro del pittore fiammingo Pieter Bruegel il Vecchio, Cacciatori nella neve.
Suddiviso in una serie di episodi circoscritti (o piuttosto dei “quadri”), della durata di pochi minuti ciascuno, il film assume come principale fil-rouge il vagabondaggio di due stralunati venditori che tentano invano - e con effetti completamente opposti alle intenzioni - di far acquistare ai potenziali clienti il loro campionario di “oggetti divertenti”, scontrandosi con l’indifferenza generale o con il silenzioso scetticismo dei passanti. Come una coppia di Don Chisciotte e Sancho Panza dei nostri tempi, Sam e Jonathan, ci accompagnano in un caleidoscopico viaggio attraverso il destino umano. Un percorso fatto di incontri e situazioni inaspettate, che diventano strumento per offrire un punto di vista originale sulla società attuale, caratterizzata dalla supremazia della vanità. Roy Andersson ha descritto questo film come un mix di tre romanzi, “Don Chisciotte” di Cervantes, “Uomini e topi” di Steinbeck e “Delitto e castigo” di Dostoevskij.
Sono storie quotidiane e fuori del comune che ritraggono “la nostra esistenza nella sua grandiosità e nella sua meschinità, nella bellezza e nella tragedia, nell’esagerazione e nella tristezza: in una prospettiva aerea, come raccontate da un uccello che rifletta sulla condizione umana“. Il piccione è l’osservatore che ”rimane stupito dagli uomini: dalle loro attività, dalle follie, dall’orgoglio e dall’agitazione, cui cerca di dare un senso e che tenta di capire“.
Il film è considerato l’ultimo di una trilogia, insieme ai precedenti del regista, “Sånger från andra våningen” (Songs from the Second Floor, 2000) e “Du Levande” (You, the Living, 2007).
Roy Andersson, 71 anni, attivo fin dal lontano 1969, è un nome poco conosciuto al di fuori dei circuiti festivalieri, campa con gli spot pubblicitari (finora ne ha realizzato circa 400) e con documentari, soprattutto di tematiche politiche e ambientali.
Fu ritenuto essere il successore di Ingmar Bergman, tanto che il “Village Voice” lo definì uno “slapstick Ingmar Bergman”. Ma Andersson ci tiene a precisare: “Quando ho frequentato la scuola di cinema in Svezia, Bergman era il preside. Ricordo che era furibondo perché aveva scoperto che avevo utilizzato la macchina da presa da 16 mm per riprendere una protesta contro la guerra in Vietnam. Era profondamente di destra. Minacciò di stroncare la mia carriera, se avessi continuato ad essere attivo in politica. Ma avevo ventiquattro anni e non mi lasciavo intimidire facilmente. Infatti, eccomi ancora qui”.
A Venezia è stato accolto alla proiezione per la stampa come se fosse sceso Dio in terra, tra scroscianti applausi di approvazione ed estasi generale. Per “The Guardian” è “un film brillantemente distinto che nessun altro poteva fare”, mentre per il “Telegraph” “gli sketch fumettistici di Roy Andersson potrebbero anche essere intraducibile cinema, ma sono il paradiso”. La pellicola si è guadagnata anche gli elogi di “Positif”, “Screen International”, “Il Foglio”, “Il Messaggero” e tanti altri.
Resta da vedere, come sempre, se il Leone d’Oro assegnato dalla giuria internazionale avrà anche un riscontro di pubblico. Se è piaciuto alla stampa, comunque, promette bene.
Non è mancato dal regista svedese un omaggio al cinema italiano. "Non sarei regista se non avessi visto “Ladri di biciclette”. Il cinema dovrebbe essere pieno di umanità ed empatia. Continuerò a fare film seguendo l'esempio di Vittorio De Sica", ha detto Andersson, sul palco durante la consegna del premio.
Sarebbe stata difficile la distribuzione in Italia, ma, ora che ha vinto, le prospettive sono diverse. Infatti, finora i suoi film venivano trasmessi in terza serata – tarda notte – in “Fuori orario. Cose (mai) viste”, programma di RAI 3 nato nel 1988 come un "contenitore anarchico di immagini", che ospita soprattutto cinema d’essai italiano ed internazionale presentato spesso in lingua originale.
"Io sono per la solidarietà", ha detto Andersson. "Una società in cui uno s’impegni e avverta la sua responsabilità verso gli altri. Purtroppo, anche in Svezia, abbiamo avuto un periodo in cui a prendersi cura l'un l'altro è visto come antiquato. Ma è evidente che non ha funzionato. Si tratta di una visione dolorosa, che penso che la gente comincerà a capire sempre di più. Non da ultimo, Fredrik Reinfeldt”.
Silvano Console
La vittoria di Andersson è senz’altro una sorpresa, con un verdetto che si è rivelato frutto di lunghe discussioni in giuria. “Argomentazioni appassionate” le ha definite Desplat: “Abbiamo scelto di privilegiare gesti artistici forti, il cui contenuto filosofico e politico ci ha appassionati. È un compito difficile giudicare i nostri colleghi, ma l’abbiamo fatto con passione e onestà”. Dunque si è deciso a maggioranza, e Verdone l’ha rivelato esplicitamente. “Mi è piaciuto ma non ero convintissimo. Certo c’è poesia, emozione, stupore. Gli avrei dato il Leone alla regia. Ma la maggioranza ha deciso per Leone d’Oro”.
Ma che cos’è infine questo “ piccione su un ramo che riflette sull’esistenza”? È un “tripudio di surrealtà”, hanno commentato i giornali italiani. Un film in stile surreal-noir, 101 minuti girati in digitale e montati magistralmente in 39 piani sequenza, senza nessun movimento di macchina e nessun primo piano o piano americano, veri e propri tableaux vivants, ognuno dei quali pregno di significato e di abbacinante splendore visivo. Le scene ricordano, allo stesso tempo, teatrini di cera, i quadri di Edward Hopper, le opere affollate di Bruegel, quelle di Otto Dix, comiche noir e deliranti Wunderkammer. Insomma una vera follia.
Roy Andersson pensa che il punto di vista dei piccioni nei confronti della vita e delle gesta degli umani sia quanto meno originale. Da una tale prospettiva distaccata e “aliena” gli umani appaiono buffi, ossessivi e ripetitivi.
Il bizzarro titolo del film è ispirato a un dettaglio di un celeberrimo quadro del pittore fiammingo Pieter Bruegel il Vecchio, Cacciatori nella neve.
Suddiviso in una serie di episodi circoscritti (o piuttosto dei “quadri”), della durata di pochi minuti ciascuno, il film assume come principale fil-rouge il vagabondaggio di due stralunati venditori che tentano invano - e con effetti completamente opposti alle intenzioni - di far acquistare ai potenziali clienti il loro campionario di “oggetti divertenti”, scontrandosi con l’indifferenza generale o con il silenzioso scetticismo dei passanti. Come una coppia di Don Chisciotte e Sancho Panza dei nostri tempi, Sam e Jonathan, ci accompagnano in un caleidoscopico viaggio attraverso il destino umano. Un percorso fatto di incontri e situazioni inaspettate, che diventano strumento per offrire un punto di vista originale sulla società attuale, caratterizzata dalla supremazia della vanità. Roy Andersson ha descritto questo film come un mix di tre romanzi, “Don Chisciotte” di Cervantes, “Uomini e topi” di Steinbeck e “Delitto e castigo” di Dostoevskij.
Sono storie quotidiane e fuori del comune che ritraggono “la nostra esistenza nella sua grandiosità e nella sua meschinità, nella bellezza e nella tragedia, nell’esagerazione e nella tristezza: in una prospettiva aerea, come raccontate da un uccello che rifletta sulla condizione umana“. Il piccione è l’osservatore che ”rimane stupito dagli uomini: dalle loro attività, dalle follie, dall’orgoglio e dall’agitazione, cui cerca di dare un senso e che tenta di capire“.
Il film è considerato l’ultimo di una trilogia, insieme ai precedenti del regista, “Sånger från andra våningen” (Songs from the Second Floor, 2000) e “Du Levande” (You, the Living, 2007).
Roy Andersson, 71 anni, attivo fin dal lontano 1969, è un nome poco conosciuto al di fuori dei circuiti festivalieri, campa con gli spot pubblicitari (finora ne ha realizzato circa 400) e con documentari, soprattutto di tematiche politiche e ambientali.
Fu ritenuto essere il successore di Ingmar Bergman, tanto che il “Village Voice” lo definì uno “slapstick Ingmar Bergman”. Ma Andersson ci tiene a precisare: “Quando ho frequentato la scuola di cinema in Svezia, Bergman era il preside. Ricordo che era furibondo perché aveva scoperto che avevo utilizzato la macchina da presa da 16 mm per riprendere una protesta contro la guerra in Vietnam. Era profondamente di destra. Minacciò di stroncare la mia carriera, se avessi continuato ad essere attivo in politica. Ma avevo ventiquattro anni e non mi lasciavo intimidire facilmente. Infatti, eccomi ancora qui”.
A Venezia è stato accolto alla proiezione per la stampa come se fosse sceso Dio in terra, tra scroscianti applausi di approvazione ed estasi generale. Per “The Guardian” è “un film brillantemente distinto che nessun altro poteva fare”, mentre per il “Telegraph” “gli sketch fumettistici di Roy Andersson potrebbero anche essere intraducibile cinema, ma sono il paradiso”. La pellicola si è guadagnata anche gli elogi di “Positif”, “Screen International”, “Il Foglio”, “Il Messaggero” e tanti altri.
Resta da vedere, come sempre, se il Leone d’Oro assegnato dalla giuria internazionale avrà anche un riscontro di pubblico. Se è piaciuto alla stampa, comunque, promette bene.
Non è mancato dal regista svedese un omaggio al cinema italiano. "Non sarei regista se non avessi visto “Ladri di biciclette”. Il cinema dovrebbe essere pieno di umanità ed empatia. Continuerò a fare film seguendo l'esempio di Vittorio De Sica", ha detto Andersson, sul palco durante la consegna del premio.
Sarebbe stata difficile la distribuzione in Italia, ma, ora che ha vinto, le prospettive sono diverse. Infatti, finora i suoi film venivano trasmessi in terza serata – tarda notte – in “Fuori orario. Cose (mai) viste”, programma di RAI 3 nato nel 1988 come un "contenitore anarchico di immagini", che ospita soprattutto cinema d’essai italiano ed internazionale presentato spesso in lingua originale.
"Io sono per la solidarietà", ha detto Andersson. "Una società in cui uno s’impegni e avverta la sua responsabilità verso gli altri. Purtroppo, anche in Svezia, abbiamo avuto un periodo in cui a prendersi cura l'un l'altro è visto come antiquato. Ma è evidente che non ha funzionato. Si tratta di una visione dolorosa, che penso che la gente comincerà a capire sempre di più. Non da ultimo, Fredrik Reinfeldt”.
Silvano Console