Antonio Tabucchi è, prima di tutto, una persona piacevole. Il raffinato e impegnato autore di “Sostiene Pereira”, e di “Si sta facendo sempre più tardi”, vive in armonia con il comunicatore, il docente, in grado di rendere accessibili concetti complessi con parole semplici, efficaci. Seduto sui gradini esterni dell’Istituto di Cultura Italiana, tra un caffè e una sigaretta parla della sua letteratura, della vita e di quella che considera la sua patria: la lingua italiana. Di nuovo a Stoccolma,dopo anni di assenza, per la presentazione della traduzione in svedese del suo “I volatili del Beato Angelico” (Beato Angelicos flygande varelser, primo di una serie di libri tradotti per la rivista Cartaditalia) ci parla del suo rapporto con il pubblico svedese.
Cosa sono i “Volatili del Beato Angelico” e che ruolo occupano nella sua produzione?
I volatili sono degli embrioni. Sono larve di romanzi che non ho avuto né voglia, né tempo, né possibilità di completare e che ho deciso di lasciare allo stato larvale; un po’ come quelle creature fragili, umili, che non raggiungono mai una loro compiutezza ma che meritano comunque tutto il nostro affetto. Non sono finite, complete, ma esistono. Potrei dire che questo è un libretto di tanti libri che avrei potuto scrivere, una specie di piccolo taccuino di pensieri che mi hanno attraversato la testa negli anni. Un piccolo, personale, Zibaldone. Qualunque artista, al di là di quale sia la sua arte, ha lasciato opere di questo tipo, pensi a Delacroix: i suoi quadri più famosi sono al Louvre, opere potenti e compiute. Ma se mi venisse chiesto quale opera di Delacroix preferisco direi le figure femminili appena tratteggiate sui suoi taccuini di viaggio oppure i delicatissimi studi che si possono ammirare nella sua casa museo a Parigi. A volte le opere non compiute suscitano più affetto e ammirazione di quelle definite. Potrei dire che i Volatili sono figli mai nati, ma comunque amati.
Nei Volatili, così come in molte altre sue opere, il tempo, lo spazio, i generi sono come sbriciolati sotto il peso della parola. Lei ha scritto che la vita non è in ordine alfabetico.
– E lo confermo. La vita non è mai in ordine alfabetico, è fatta di occasioni, di attenzioni. A questo proposito mi viene in mente una risposta di Malraux che alla domanda se credesse o meno nel destino rispose: – No, io credo negli appuntamenti. Noi perdiamo pezzi importanti della nostra vita perché ad un certo punto arriva l’appuntamento, o l’occasione se preferisce, e per le ragioni più disparate non siamo in grado di coglierlo. Ad esempio in “Si sta facendo sempre più tardi” ho dato vita ad un romanzo epistolare atipico. Non ci sono riferimenti né spaziali né temporali. Sono uomini che scrivono lettere a donne che non risponderanno mai. Uomini che hanno riletto su uno spartito una storia d’amore finita tempo prima e che solo in quel momento sono in grado di decifrare. Vivono nel rancore verso se stessi perché non hanno capito, non sono stati in grado di capire per tempo cosa, in realtà, andavano perdendo. Non hanno colto l’occasione quando avrebbero potuto e ora, appunto, si è fatto tardi. La musica è finita e lo spartito è il testimone di un fallimento personale. Il tempo e lo spazio non sono parametri essenziali se si guarda alla vita adottando una prospettiva di questo tipo.
Lei ha dichiarato che la sua patria è la lingua italiana perché uno scrittore porta sempre con sé la lingua del proprio paese. La nostra lingua va impoverendosi, impigrendosi. Le parole che arrivano dall’estero non vengono neanche più tradotte o italianizzate, non teme che la sua patria possa venire invasa dai forestierismi?
La lingua è un elemento biologico e come tutti gli elementi biologici è anch’essa in movimento.
Una lingua fissa, immobile è un cadavere, le lingue devono cambiare. Quindi il fatto che compaiano parole straniere non mi fa paura. Anzi, lo trovo un fenomeno assolutamente normale. Il discorso cambia se, invece, si parla di una lingua che si involgarisce, che impoverisce se stessa rinunciando alla propria ricchezza e limitandosi all’uso di poche centinaia di parole a volte anche piuttosto volgari. Il fatto di vedere l’italiano ridotto ad un livello basic, penso ad esempio a quello che si parla in televisione, mi fa pensare che anche le parole si ammalino e io, da scrittore, non posso che soffrine. E’ come se ad un pittore iniziassero a ridurre la gamma di colori a disposizione sulla tavolozza. Cerchiamo di farle vivere le parole perché se messe in un sarcofago poi non le sveglia più nessuno.
Nell’Europa plurilinguistica che ci aspetta quale ruolo spetterà alla lingua italiana?
- Su questo non saprei fare previsioni. Posso dire che l’italiano è sempre stato una lingua di cultura perciò la lingua italiana avrà una sua funzione ed un suo importantissimo ruolo se la cultura italiana sarà in grado di rinnovarsi e rafforzarsi. Non si può studiare il Rinascimento o la musica senza avere una buona conoscenza dell’italiano. L’italiano ha quindi una funzione estremamente diversa e difficilmente sostituibile rispetto ad altre lingue. Questo dovrebbe essere il ruolo dell’italiano nel futuro. Dobbiamo puntare e credere nell'eccellenza della nostra cultura. A quel punto la lingua sarà salva.
Qui in Svezia c’è un grande interesse per la sua opera. Secondo lei cosa ha di veramente unico la nostra letteratura da dire al mondo?
Credo che la letteratura italiana stia vivendo un buon momento. Ci sono fermenti interessanti e alcuni giovani autori davvero molto promettenti. Penso, ad esempio, ad Andrea Baiani e Valeria Parrella, ma ce ne sono molti altri davvero validi. Insomma possiamo dire che per la nostra letteratura c’è stato un vero ricambio generazionale. Anzi vorrei invitare gli svedesi a prestare attenzione alla giovane letteratura italiana. Conoscendo le altre letterature europee forse è una delle più vive ed interessanti.
Qual è il suo rapporto con il pubblico svedese?
Gli svedesi hanno una qualità molto interessante: toccano di un libro una cosa ben precisa. I giornalisti, ad esempio, non fanno domande nebulose e fini a se stesse come spesso avviene in altri paesi. Dietro alle loro domande leggo un reale interesse nel voler capire le cose, nel voler esplorare l’essenza di un libro. Trovo che questo sia un elemento di grande rispetto nei confronti dell’autore. Devo poi aggiungere che il pubblico svedese si dimostra molto sensibile e attento alle nuove voci letterarie. Questo gli fa onore ed è sempre un piacere, per me, venire a Stoccolma e discutere con persone curiose e competenti.
Le è possibile tracciare le distanze tra il clima culturale italiano e quello del resto d’Europa?
In Italia ci sono molti artisti e anche molto bravi. Il problema risiede nelle politiche delle case editrici che, di fatto, danno poco o nessuno spazio ai giovani o a particolari generi letterari, penso alla poesia, che fanno poco fatturato. Questo è un grave problema, ma non è un dramma. In Italia, come ho già detto la scena è vivace, c’è solo bisogno di prestare un po’ più di attenzione alle nuove voci. Per questo esorto i lettori svedesi, che considero intelligenti e curiosi, ad avventurarsi nella scoperta dei nostri giovani autori che tanto hanno da dire.
Intervista a cura di Iacopo Vannicelli
Foto Rebeca Yanke
I volatili sono degli embrioni. Sono larve di romanzi che non ho avuto né voglia, né tempo, né possibilità di completare e che ho deciso di lasciare allo stato larvale; un po’ come quelle creature fragili, umili, che non raggiungono mai una loro compiutezza ma che meritano comunque tutto il nostro affetto. Non sono finite, complete, ma esistono. Potrei dire che questo è un libretto di tanti libri che avrei potuto scrivere, una specie di piccolo taccuino di pensieri che mi hanno attraversato la testa negli anni. Un piccolo, personale, Zibaldone. Qualunque artista, al di là di quale sia la sua arte, ha lasciato opere di questo tipo, pensi a Delacroix: i suoi quadri più famosi sono al Louvre, opere potenti e compiute. Ma se mi venisse chiesto quale opera di Delacroix preferisco direi le figure femminili appena tratteggiate sui suoi taccuini di viaggio oppure i delicatissimi studi che si possono ammirare nella sua casa museo a Parigi. A volte le opere non compiute suscitano più affetto e ammirazione di quelle definite. Potrei dire che i Volatili sono figli mai nati, ma comunque amati.
Nei Volatili, così come in molte altre sue opere, il tempo, lo spazio, i generi sono come sbriciolati sotto il peso della parola. Lei ha scritto che la vita non è in ordine alfabetico.
– E lo confermo. La vita non è mai in ordine alfabetico, è fatta di occasioni, di attenzioni. A questo proposito mi viene in mente una risposta di Malraux che alla domanda se credesse o meno nel destino rispose: – No, io credo negli appuntamenti. Noi perdiamo pezzi importanti della nostra vita perché ad un certo punto arriva l’appuntamento, o l’occasione se preferisce, e per le ragioni più disparate non siamo in grado di coglierlo. Ad esempio in “Si sta facendo sempre più tardi” ho dato vita ad un romanzo epistolare atipico. Non ci sono riferimenti né spaziali né temporali. Sono uomini che scrivono lettere a donne che non risponderanno mai. Uomini che hanno riletto su uno spartito una storia d’amore finita tempo prima e che solo in quel momento sono in grado di decifrare. Vivono nel rancore verso se stessi perché non hanno capito, non sono stati in grado di capire per tempo cosa, in realtà, andavano perdendo. Non hanno colto l’occasione quando avrebbero potuto e ora, appunto, si è fatto tardi. La musica è finita e lo spartito è il testimone di un fallimento personale. Il tempo e lo spazio non sono parametri essenziali se si guarda alla vita adottando una prospettiva di questo tipo.
Lei ha dichiarato che la sua patria è la lingua italiana perché uno scrittore porta sempre con sé la lingua del proprio paese. La nostra lingua va impoverendosi, impigrendosi. Le parole che arrivano dall’estero non vengono neanche più tradotte o italianizzate, non teme che la sua patria possa venire invasa dai forestierismi?
La lingua è un elemento biologico e come tutti gli elementi biologici è anch’essa in movimento.
Una lingua fissa, immobile è un cadavere, le lingue devono cambiare. Quindi il fatto che compaiano parole straniere non mi fa paura. Anzi, lo trovo un fenomeno assolutamente normale. Il discorso cambia se, invece, si parla di una lingua che si involgarisce, che impoverisce se stessa rinunciando alla propria ricchezza e limitandosi all’uso di poche centinaia di parole a volte anche piuttosto volgari. Il fatto di vedere l’italiano ridotto ad un livello basic, penso ad esempio a quello che si parla in televisione, mi fa pensare che anche le parole si ammalino e io, da scrittore, non posso che soffrine. E’ come se ad un pittore iniziassero a ridurre la gamma di colori a disposizione sulla tavolozza. Cerchiamo di farle vivere le parole perché se messe in un sarcofago poi non le sveglia più nessuno.
Nell’Europa plurilinguistica che ci aspetta quale ruolo spetterà alla lingua italiana?
- Su questo non saprei fare previsioni. Posso dire che l’italiano è sempre stato una lingua di cultura perciò la lingua italiana avrà una sua funzione ed un suo importantissimo ruolo se la cultura italiana sarà in grado di rinnovarsi e rafforzarsi. Non si può studiare il Rinascimento o la musica senza avere una buona conoscenza dell’italiano. L’italiano ha quindi una funzione estremamente diversa e difficilmente sostituibile rispetto ad altre lingue. Questo dovrebbe essere il ruolo dell’italiano nel futuro. Dobbiamo puntare e credere nell'eccellenza della nostra cultura. A quel punto la lingua sarà salva.
Qui in Svezia c’è un grande interesse per la sua opera. Secondo lei cosa ha di veramente unico la nostra letteratura da dire al mondo?
Credo che la letteratura italiana stia vivendo un buon momento. Ci sono fermenti interessanti e alcuni giovani autori davvero molto promettenti. Penso, ad esempio, ad Andrea Baiani e Valeria Parrella, ma ce ne sono molti altri davvero validi. Insomma possiamo dire che per la nostra letteratura c’è stato un vero ricambio generazionale. Anzi vorrei invitare gli svedesi a prestare attenzione alla giovane letteratura italiana. Conoscendo le altre letterature europee forse è una delle più vive ed interessanti.
Qual è il suo rapporto con il pubblico svedese?
Gli svedesi hanno una qualità molto interessante: toccano di un libro una cosa ben precisa. I giornalisti, ad esempio, non fanno domande nebulose e fini a se stesse come spesso avviene in altri paesi. Dietro alle loro domande leggo un reale interesse nel voler capire le cose, nel voler esplorare l’essenza di un libro. Trovo che questo sia un elemento di grande rispetto nei confronti dell’autore. Devo poi aggiungere che il pubblico svedese si dimostra molto sensibile e attento alle nuove voci letterarie. Questo gli fa onore ed è sempre un piacere, per me, venire a Stoccolma e discutere con persone curiose e competenti.
Le è possibile tracciare le distanze tra il clima culturale italiano e quello del resto d’Europa?
In Italia ci sono molti artisti e anche molto bravi. Il problema risiede nelle politiche delle case editrici che, di fatto, danno poco o nessuno spazio ai giovani o a particolari generi letterari, penso alla poesia, che fanno poco fatturato. Questo è un grave problema, ma non è un dramma. In Italia, come ho già detto la scena è vivace, c’è solo bisogno di prestare un po’ più di attenzione alle nuove voci. Per questo esorto i lettori svedesi, che considero intelligenti e curiosi, ad avventurarsi nella scoperta dei nostri giovani autori che tanto hanno da dire.
Intervista a cura di Iacopo Vannicelli
Foto Rebeca Yanke