Mauro Covacich è uno scrittore triestino che, ormai da molti anni vive a Roma. Covachic ha pubblicato numerosi libri che hanno riscosso consensi di critica e di pubblico. Ora per la prima un romanzo A perdifiato (uscito nel 2003) esce in svedese per la Contempo libri con il titolo di Till bristningsgränsen. Ho incontrato lo scrittore triestino durante la sua visita a Stoccolma in occasione della pubblicazione di Till bristningsgränsen. Sinceramente non ho letto tutti i tuoi libri. Ma prima di chiederti qualcosa a proposito
di A perdifiato volevo chiederti fino a che punto è Trieste (città mitica sotto molti aspetti) presente nei tuoi libri, tu hai scritto una saggio mi pare Trieste sottosopra. Trieste, e ti stupirò, è presente nella mia scrittura per quello che si riferisce al corpo, alla vita attiva, meno per l’eredità culturale ed intellettuale dei primi del novecento, Trieste mi è rimasta dentro, io sono ormai romano di | Trieste mi è rimasta dentro, io sono ormai romano di adozione, per il vitalismo che ha il triestino per il suo modo di vivere il mare, per il loro modo di godersi la vita ed il corpo che li fa sembrare molto meno “nordici” sono i più meridionali dell’Italia settentrionale |
adozione, per il vitalismo che ha il triestino per il suo modo di vivere il mare, per il loro modo di godersi la vita ed il corpo che li fa sembrare molto meno “nordici” sono i più meridionali dell’Italia settentrionale. Pare strano perché di solito si parla dell’aspetto asburgico di Trieste. Io vedo e vivo maggiormente l’aspetto quasi levantino, da città dei commerci. E l’aspetto appunto fisico. Ai caffè preferisco il mare ed i boschi insomma la dimensione edonistica del vivere Trieste.
Dieci anni fa è uscito A perdifiato, che ha vinto numerosi premi, il primo di una serie di libri sulla, come dire, corsa. Il romanzo ruota intorno ad un ex maratoneta Dario Rensich, perché hai sentito la necessità di scrivere questo libro?
Sì la corsa va bene ma a me pare più una specie di fuga. Comunque volevo provare a scrivere qualcosa sul correre perché per chi pratica la corsa, questa diventa una specie di respiro della giornata, il ritmo e lo scandire del tempo, una possibilità di auto-ascolto, perché quando corri sei con te stesso continuamente. Nello stesso tempo il mio non è un romanzo sportivo, l’ambiente della maratona è un ambiente di vita e di lavoro come tanti altri. Rensich allenatore in Ungheria ha a che fare con tante ragazzine che tentano la scalata sociale attraverso la corsa. Mi è capito di andare a Szeged la città dove è ambientato il romanzo, un anno dopo la catastrofe ecologica che inquinò il Danubio. Ho passato li tutto un inverno. Correvo sull'argine del fiume che, dopo un anno, era completamente ripulito. L’idea che c’è nel libro è quella della terra come un corpo vivente che all'improvviso subisce un attacco esterno, un’iniezione di cianuro che entra negli organi, nel corpo del pianeta come un doping nel corpo dell’atleta. Queste dimensioni del corpo dell’atleta, del corpo del pianeta e la corsa si sono amalgamate dando vita al romanzo.
Il romanzo ha, linguisticamente, una struttura che crea la sensazione di una corsa o di una fuga
Sì, in effetti questa corsa è anche nella scrittura che comunica questa, diciamo, frenesia, perché questa corsa è anche una fuga, una fuga da se stessi. Il protagonista sta scappando dal progetto di vita che si è dato. Io ho voluto mettere a confronto l’autocontrollo di un maratoneta, questo rigore che lo rende simile a qualcuno che faccia arti marziali con ala passione scellerata per una ragazzina diciottenne, il fatto che perda la testa e mandi al diavolo tutta la sua vita, la moglie, la bambina adottiva insomma tutto quello che di sicuro c’era nella sua vita. Questa contraddizione a me pare emblematica di molte persone di oggi, ed forse anche la mia personalmente. Persone socialmente ed economicamente “realizzate” ma che in realtà dentro di loro stanno cadendo a pezzi. Questo disagio con sé stesso è risolto con una fuga. Quindi comprendo la tua impressione. La scrittura restituisce questa fretta, questa fuga che sembra e forse è superficiale ma soltanto nel senso che tu corri sulla superficie delle cose e non puoi mai fermarti perché se lo fai precipiti nel baratro. L’affanno nella scrittura traduce in forma l’affanno dei personaggi.
Nel romanzo accadono molte cose, forse appunto troppe. A me sembra che tu, come dire… tu non forzi le cose, tu lasci accadere gli eventi per poterli descrivere
Io ho lavorato molto sulla scrittura per rendere concreta questo affanno, questo respiro affannoso che non lascia spazio alla riflessione. Anche perché riflettere è per il personaggio, qualcosa di doloroso. Lui non si può fermare, è impossibile. La mia scrittura non è didascalica, io non lascio spazio ai commenti. Io le cose le mostro o, come dicevi, le lascio accadere, sono come dei piani sequenza che si susseguono.
Un altro romanzo Prima di sparire, è un romanzo tragico?
Prima di sparire è la continuazione di A perdifiato, nel senso che il romanzo segue ancora Rensich ma qui ha smesso di fare l’atleta ed è diventato un artista, un performer che corre sempre ma su di un tapis roulant. Io ho fatto un video nel quale sono io a correre una maratona su di un tapis roulant. Ma Prima di sparire è anche la mia storia personale, vale a dire del tentativo fallito di scrivere quel libro. È un preambolo ad uno sparire che è quasi autobiografico. Io sparisco dalla vita di una donna per andare da un’altra parte. Il romanzo racconta la storia di una separazione, una separazione reale tra la mia compagna e me. E dentro questa storia, che dura sei mesi, cerco, inutilmente, di scrivere il romanzo.
Comunque per me la corsa, il correre, per tornare al punto di prima, è per moltissime persone non un modo di stare bene, non un desiderio di creare quel benessere fisico che tanto piace. No, è una fuga per non pensare, un modo per esorcizzare la propria solitudine, la propria nevrosi. Si corre per evadere da se stessi, si corre per creare le endorfine necessarie che aiutano a stare lievemente meglio, si corre per non impazzire. Logicamente non tutti, ed io, si, parlo anche per esperienza personale, io corro perché faccio fatica a fare i conti con me stesso, perché non sono sereno.
Vedi, se hai notato, si corre di più nei paesi ricchi. Dove non ci sono problemi così grandi di sopravvivenza, ecco che allora i problemi esistenziali aumentano. Anche il sesso è per molti una operazione ginnica e muscolare, facile da fare sganciata dal desiderio dalla ricerca e riempita da YouTube da YouPorn. Mi raccontava un amico artista che esistono dei software che tu carichi sul tuo I-phone e che ti segnala in quali quartieri che tu attraversi ci sono dei gaybar dove trovare persone disposte a fare sesso con te. Naturalmente ne esistono anche per eterosessuali. Gli elementi della seduzione e del desiderio proprio della esperienza sessuale, viene a mancare, lasciando il campo al solo aspetto ginnico, appunto come una corsa, come fuga, come disperazione. La disperazione del benessere.
In A perdifiato c’è anche un elemento di espiazione, di colpa che io sento molto forte. Problemi sempre presenti nella mia scrittura, io non sono credente ma, come dice Nietzsche, sono figlio della cultura cattolica che ha alimentato il mio immaginario. Un immaginario fatto di parole che appesantiscono la coscienza, in questo senso la corsa diventa un modo di chiedere perdono.
Intervista a cura di Guido Zeccola
Dieci anni fa è uscito A perdifiato, che ha vinto numerosi premi, il primo di una serie di libri sulla, come dire, corsa. Il romanzo ruota intorno ad un ex maratoneta Dario Rensich, perché hai sentito la necessità di scrivere questo libro?
Sì la corsa va bene ma a me pare più una specie di fuga. Comunque volevo provare a scrivere qualcosa sul correre perché per chi pratica la corsa, questa diventa una specie di respiro della giornata, il ritmo e lo scandire del tempo, una possibilità di auto-ascolto, perché quando corri sei con te stesso continuamente. Nello stesso tempo il mio non è un romanzo sportivo, l’ambiente della maratona è un ambiente di vita e di lavoro come tanti altri. Rensich allenatore in Ungheria ha a che fare con tante ragazzine che tentano la scalata sociale attraverso la corsa. Mi è capito di andare a Szeged la città dove è ambientato il romanzo, un anno dopo la catastrofe ecologica che inquinò il Danubio. Ho passato li tutto un inverno. Correvo sull'argine del fiume che, dopo un anno, era completamente ripulito. L’idea che c’è nel libro è quella della terra come un corpo vivente che all'improvviso subisce un attacco esterno, un’iniezione di cianuro che entra negli organi, nel corpo del pianeta come un doping nel corpo dell’atleta. Queste dimensioni del corpo dell’atleta, del corpo del pianeta e la corsa si sono amalgamate dando vita al romanzo.
Il romanzo ha, linguisticamente, una struttura che crea la sensazione di una corsa o di una fuga
Sì, in effetti questa corsa è anche nella scrittura che comunica questa, diciamo, frenesia, perché questa corsa è anche una fuga, una fuga da se stessi. Il protagonista sta scappando dal progetto di vita che si è dato. Io ho voluto mettere a confronto l’autocontrollo di un maratoneta, questo rigore che lo rende simile a qualcuno che faccia arti marziali con ala passione scellerata per una ragazzina diciottenne, il fatto che perda la testa e mandi al diavolo tutta la sua vita, la moglie, la bambina adottiva insomma tutto quello che di sicuro c’era nella sua vita. Questa contraddizione a me pare emblematica di molte persone di oggi, ed forse anche la mia personalmente. Persone socialmente ed economicamente “realizzate” ma che in realtà dentro di loro stanno cadendo a pezzi. Questo disagio con sé stesso è risolto con una fuga. Quindi comprendo la tua impressione. La scrittura restituisce questa fretta, questa fuga che sembra e forse è superficiale ma soltanto nel senso che tu corri sulla superficie delle cose e non puoi mai fermarti perché se lo fai precipiti nel baratro. L’affanno nella scrittura traduce in forma l’affanno dei personaggi.
Nel romanzo accadono molte cose, forse appunto troppe. A me sembra che tu, come dire… tu non forzi le cose, tu lasci accadere gli eventi per poterli descrivere
Io ho lavorato molto sulla scrittura per rendere concreta questo affanno, questo respiro affannoso che non lascia spazio alla riflessione. Anche perché riflettere è per il personaggio, qualcosa di doloroso. Lui non si può fermare, è impossibile. La mia scrittura non è didascalica, io non lascio spazio ai commenti. Io le cose le mostro o, come dicevi, le lascio accadere, sono come dei piani sequenza che si susseguono.
Un altro romanzo Prima di sparire, è un romanzo tragico?
Prima di sparire è la continuazione di A perdifiato, nel senso che il romanzo segue ancora Rensich ma qui ha smesso di fare l’atleta ed è diventato un artista, un performer che corre sempre ma su di un tapis roulant. Io ho fatto un video nel quale sono io a correre una maratona su di un tapis roulant. Ma Prima di sparire è anche la mia storia personale, vale a dire del tentativo fallito di scrivere quel libro. È un preambolo ad uno sparire che è quasi autobiografico. Io sparisco dalla vita di una donna per andare da un’altra parte. Il romanzo racconta la storia di una separazione, una separazione reale tra la mia compagna e me. E dentro questa storia, che dura sei mesi, cerco, inutilmente, di scrivere il romanzo.
Comunque per me la corsa, il correre, per tornare al punto di prima, è per moltissime persone non un modo di stare bene, non un desiderio di creare quel benessere fisico che tanto piace. No, è una fuga per non pensare, un modo per esorcizzare la propria solitudine, la propria nevrosi. Si corre per evadere da se stessi, si corre per creare le endorfine necessarie che aiutano a stare lievemente meglio, si corre per non impazzire. Logicamente non tutti, ed io, si, parlo anche per esperienza personale, io corro perché faccio fatica a fare i conti con me stesso, perché non sono sereno.
Vedi, se hai notato, si corre di più nei paesi ricchi. Dove non ci sono problemi così grandi di sopravvivenza, ecco che allora i problemi esistenziali aumentano. Anche il sesso è per molti una operazione ginnica e muscolare, facile da fare sganciata dal desiderio dalla ricerca e riempita da YouTube da YouPorn. Mi raccontava un amico artista che esistono dei software che tu carichi sul tuo I-phone e che ti segnala in quali quartieri che tu attraversi ci sono dei gaybar dove trovare persone disposte a fare sesso con te. Naturalmente ne esistono anche per eterosessuali. Gli elementi della seduzione e del desiderio proprio della esperienza sessuale, viene a mancare, lasciando il campo al solo aspetto ginnico, appunto come una corsa, come fuga, come disperazione. La disperazione del benessere.
In A perdifiato c’è anche un elemento di espiazione, di colpa che io sento molto forte. Problemi sempre presenti nella mia scrittura, io non sono credente ma, come dice Nietzsche, sono figlio della cultura cattolica che ha alimentato il mio immaginario. Un immaginario fatto di parole che appesantiscono la coscienza, in questo senso la corsa diventa un modo di chiedere perdono.
Intervista a cura di Guido Zeccola