Carlo Felicetti è uno dei veterani se non dell’associazionismo italiano in Svezia, certo tra coloro che hanno cercato di diffondere lingua e cultura italiana i questo paese. Carlo ha deciso di trascorrere buona parte dell’anno in Italia. Lo abbiamo incontrato poco prima della sua partenza.
Caro Carlo, sei in Svezia da molti anni. Puoi raccontarci quando e perché sei venuto in Svezia?
- Nel 1958. L’idea come tanti altri italiani l’idea era di restarci magari un mese, anche perché studiavo giurisprudenza a Roma. Poi ho incontrato una svedese e così è iniziato questo percorso nuovo. Ero
Caro Carlo, sei in Svezia da molti anni. Puoi raccontarci quando e perché sei venuto in Svezia?
- Nel 1958. L’idea come tanti altri italiani l’idea era di restarci magari un mese, anche perché studiavo giurisprudenza a Roma. Poi ho incontrato una svedese e così è iniziato questo percorso nuovo. Ero
anche stato qui qualche anno prima per turismo e la Svezia di allora mi piaceva. Ma poi ho cambiato un po’ idea. Gli inglesi dicono: L’Italia mi piace ma gli italiani no. Io ora dico il contrario: gli svedesi mi piacciono ma la Svezia no, non fosse altro per il clima.
Dopo tanti anni ho deciso di trasferirmi in Italia almeno durante il lungo inverno e poi passare l’estate qui. Certo la natura, il silenzio invernale, propri della poesia del premio nobel Tomas Tranströmer, affascinano, ma anche noi abbiamo i nostri silenzi ed io vi lascio volentieri neve e ghiacci e me ne vado al sole.
Hai cominciato a lavorare subito quando sei venuto qui in Svezia?
- Sì. Vedi io già avevo una certa conoscenza della lingua svedese, quindi ho cominciato ad insegnare italiano. Facevo anche delle piccole traduzioni ma per lo più insegnavo, ed insegnando ho incontrato la mia prima moglie. Io avevo 25 anni lei 29 quindi sposandoci ho deciso di restare in Svezia. In realtà il lavoro non mancava. Conobbi delle persone alla Folkuniversitet che allora si chiamava Kursverksamhet vid StockholmHögskolan. Il responsabile dell’insegnamento dell’italiano mi propose di prendere il suo posto. E così in pochi anni diventai il responsabile per l’italiano in questa scuola. È stata un’esperienza che se da una parte mi ha limitato un poco (non ho potuto interessarmi ad altro) dall’altra mi ha dato anche moltissimo. C’erano tanti italiani appena arrivati che non sapevano ancora orientarsi nel mercato del lavoro e allora davano lezioni. Così sono nate delle belle amicizie come con Giuliano Pontara, Francesco Gamberale che purtroppo è morto, e poi Amedeo Cottino, che è stato direttore dell’Istituto di Cultura. Eravamo un gruppo di amici all’estero con le stesse problematiche. Alla fine degli anni sessanta la riforma del ginnasio comportava l’insegnamento di diverse lingue, e così cominciai ad insegnare al ginnasio o liceo come lo vuoi chiamare. Lì c’erano studenti molto motivati. Prima si trattava perlopiù di ragazze o signore svedesi interessate alla lingua italiana. Di solito avevamo dei corsi di mattina, perché allora le donne, soprattutto quelle borghesi, non lavoravano come oggi, e così avevano molto tempo libero. Ora le cose sono diverse e le donne svedesi hanno un ruolo nella società che in Italia se lo sognano. Ed è un problema per l’Italia: se fosse consentito alle donne italiane di lavorare e di affermarsi il nostro paese ne guadagnerebbe non soltanto in prestigio ma anche a livello economico. Qui in Svezia le donne lavorano e anche se ci sono ancora dei problemi sindacali relativi agli stipendi a volte minori di quelli degli uomini, non si possono fare paragoni con l’Italia.
Come dicevo all’inizio, gli svedesi mi piacciano, mi piacciono appunto per queste cose.
Poi sei diventato una star della radio e poi della televisione?
- Esatto, siccome avevo cominciato ad insegnare a livello universitario, la televisione e la radio svedesi mi proposero di fare insieme a Rolf Lundgren capostruttura dell’insegnamento linguistico alla radio un programma, Buongiorno Italia. Lundgren era un poliglotta che amava di più le lingue che non conosceva bene e l’italiano era una di queste. Cominciammo a lavorare aiutandoci a vicenda, ed avemmo successo, anche perché la radio era importante, non tanto nei grandi centri ma in provincia la gente ascoltava molto la radio. E così arrivò il corso di italiano! E abbiamo continuato per molti anni. Ora Rolf Lundgren parla molto bene l’italiano.
Questo è stato importante perché la lingua italiana era considerata una lingua minore, ricordo che ci furono molte battaglie guidate dal professor Boström dell’università di Stoccolma per rivendicare l’importanza della lingua.
La Folkuniversitet cominciò ad assumere insegnati di lingue che venivano dalla Germania, dalla Francia, dall’Inghilterra. Questa organizzazione Kursverksamhet vid Stockholms Högskola nacque nel 1933 in piena depressione e numerosi erano gli accademici, come li chiamavano loro, senza lavoro. Quindi l’organizzazione nacque per insegnare lingue straniere. C’erano però dei problemi con l’Italia, perché se veniva creato un lettorato di italiano in Svezia automaticamente si chiedeva che un lettorato perlomeno di lingue scandinave venisse creato in Italia. Cominciarono ad arrivare i primi lettori dall’Italia, tra gli altri Mario Moretti che è anche un commediografo. Moretti introdusse un modo nuovo di insegnare facendo fare teatro agli studenti e alle studentesse. La cosa piacque molto, e molte di queste studentesse si sono poi trasferite in Italia o hanno cominciato a fare carriera utilizzando la loro conoscenza della lingua italiana. Tanti amici dicevo, tra i quali molti sono morti. Sai mi avvicino agli ottanta e allora si ha la sensazione … che ormai l’avvenire sia dietro le spalle.
Pensi alla morte? Ne hai paura?
- Non ho paura della morte, ma io vedo quello che è rimasto di questa vita, e quindi voglio recuperare i vecchi rapporti interrotti quando avevo 24 anni, anche per questo penso di restare in Italia per periodi più lunghi. Quando vado in Italia sento quel parlare intorno a me… a me piace molto il cinema, e, un po’ impertinente, mi avvicino ai capannelli di persone che commentano il film rivolgendo loro domande. Sì, all’inizio restano un po’ interdetti, ma poi vogliono parlare volentieri. Questa è una cosa che in Svezia raramente si può fare.
Sei molto attivo nell'Associazione Dante Alighieri...
- Sì ma è una cosa degli ultimi anni. Ero socio della Dante da anni ma cinque anni fa ( - ) mi proposero se volevo fare il presidente perché il precedente, non so per quali motivi, se ne era andato. Accettai anche se non ero tanto convinto, avevo altri piani. L’ho fatto anche perché nel direttivo c’era Henrik Håkerman un mio intimo amico, morto quest’anno. Amava molto l’Italia, era di destra ma era un uomo molto aperto, molto simpatico e colto. Se ne andato giovane, aveva esattamente la mia età. Io dico giovane perché ormai si vive molto a lungo.
Parlaci de Il Ponte
- Io ero molto amico del compianto Stefano Menegalli. Insegnavamo italiano, eravamo amici e ci frequentavamo non soltanto qui a Stoccolma ma anche in Italia. Lui aveva fatto delle scelte molto difficili provenendo da una famiglia rigorosamente cattolica, lui ruppe con tutti gli schemi della famiglia lombarda. Noi pensammo fin dall’inizio di creare un’associazione aperta agli svedesi. Io provenivo dalla SAI dove allora si proponeva di non fare entrare soci
svedesi… E scegliemmo tra l’altro una signora, Monika Nanni che diventò la prima presidentessa. Coinvolgemmo gli studieförbund dove c’erano allievi interessati anche alla cultura italiana e non soltanto alla lingua. C’erano anche italiani naturalmente e il Ponte funziona ancora Il Ponte, come ponte appunto tra le due culture.
Perché gli italiani litigano così spesso?
- Ah ah. Ognuno difende le proprie idee fortunatamente, ognuno è convinto che le proprie idee siano migliori di quelle dell’altro, non c’è il tentativo di compromesso come per gli svedesi. Si litiga anche tra amici, poi si fa la pace anche se rimangono zone oscure… Anche con Stefano si avevano idee diverse… Poi avevamo la concorrenza dell’istituto di cultura che allora aveva abbastanza soldi. Così le cose organizzate da noi ricevevano un’attenzione minore. Io sono venuto in Svezia nel 1958 quando si stava costruendo l’ Istituto a Gärdet. Ricordo molto bene il primo direttore Ponzanelli. L’Istituto, prima della costruzione della nuova sede aveva dei locali a Linnègatan, ma era soltanto un appartamento...
Ponzanelli era un Direttore di grande esperienza e di solida cultura: un toscanaccio grande fumatore che spegneva le sigarette nei vasi facendo arrabbiare le signore delle pulizie. E poi sono venuti altri personaggi come la Pallavicini che aveva la grande capacità di trovare soldi per tutte le iniziative. Quando mancavano volava a Roma e ritornava con il gruzzolo. Poi c’era il caro amico Ferruccio Rossetti e Oreglia che insegnava italiano e aveva fondato l’editrice Italica. Ci fu, ricordo, una lotta tra la Pallavicini che voleva appropriarsi di questa casa editrice ed il povero Oreglia che ne voleva essere il direttore. Alla fine chi perse fu Oreglia nonostante le proteste dei suoi amici svedesi.
Sì, i direttori si lamentavano per il fatto che gli italiani che frequentavano l’istituto erano pochi. E noi delle associazioni cercavamo di spiegare che i loro programmi erano a livelli troppo “alti” per una popolazione di italiani che allora era per la maggioranza di origine operaia. Questi italiani anche quando andavano a rinnovare il passaporto si scontravano con una burocrazia che avevano dimenticato abitando in Svezia. Poi le cose sono cambiate grazie alle nuove tecnologie, alla rete…
Pensi ci sia un futuro per l’associazionismo italiano in Svezia? Mi riferisco soprattutto al coinvolgimento delle giovani generazioni.
- Spesso questi nuovi immigrati sono “le menti che fuggono” dall’Italia, quindi è una grande tragedia. Sono persone che conoscono perfettamente l’inglese quindi per loro il primo approccio è più semplice di quello delle generazioni passate. Ed una buona parte di essi trova lavoro in fretta all’università o nelle istituzioni. Certo parlo dei ricercatori perché per quelli che hanno una laurea in studi umanistici la cosa diventa più difficile. Gli svedesi cercavano una volta gli operai specializzati, ora cercano i ricercatori. Tutte persone di ottime qualità e qualifiche il che dimostra che l’Italia non è soltanto turismo o Berlusconi. Le scuole italiane funzionano bene nonostante tutto, anche i licei italiani!
Poi questi giovani vengono bloccati dalle baronie universitarie ma questo è un’altra storia. Questi giovani qui in Svezia se lavorano ed hanno famiglia non hanno il tempo per le associazioni. Ecco perché sembra ci sia un disinteresse per l’associazionismo.
Forse l’alternativa è che loro stessi creino dei gruppi per stare insieme. Certo oggi lo ripeto è molto più difficile per le associazioni. Vedi, fino agli anni ottanta ci si cercava per parlare in italiano, per mangiare italiano. Ora la cucina italiana va di moda almeno nelle grandi città. Il cibo italiano si trova ormai nei supermercati e questo anche grazie al lavoro di informazione diffusa tra gli svedesi dagli italiani che sono venuti qui 50 o 60 anni fa.
A cura di Guido Zeccola
Dopo tanti anni ho deciso di trasferirmi in Italia almeno durante il lungo inverno e poi passare l’estate qui. Certo la natura, il silenzio invernale, propri della poesia del premio nobel Tomas Tranströmer, affascinano, ma anche noi abbiamo i nostri silenzi ed io vi lascio volentieri neve e ghiacci e me ne vado al sole.
Hai cominciato a lavorare subito quando sei venuto qui in Svezia?
- Sì. Vedi io già avevo una certa conoscenza della lingua svedese, quindi ho cominciato ad insegnare italiano. Facevo anche delle piccole traduzioni ma per lo più insegnavo, ed insegnando ho incontrato la mia prima moglie. Io avevo 25 anni lei 29 quindi sposandoci ho deciso di restare in Svezia. In realtà il lavoro non mancava. Conobbi delle persone alla Folkuniversitet che allora si chiamava Kursverksamhet vid StockholmHögskolan. Il responsabile dell’insegnamento dell’italiano mi propose di prendere il suo posto. E così in pochi anni diventai il responsabile per l’italiano in questa scuola. È stata un’esperienza che se da una parte mi ha limitato un poco (non ho potuto interessarmi ad altro) dall’altra mi ha dato anche moltissimo. C’erano tanti italiani appena arrivati che non sapevano ancora orientarsi nel mercato del lavoro e allora davano lezioni. Così sono nate delle belle amicizie come con Giuliano Pontara, Francesco Gamberale che purtroppo è morto, e poi Amedeo Cottino, che è stato direttore dell’Istituto di Cultura. Eravamo un gruppo di amici all’estero con le stesse problematiche. Alla fine degli anni sessanta la riforma del ginnasio comportava l’insegnamento di diverse lingue, e così cominciai ad insegnare al ginnasio o liceo come lo vuoi chiamare. Lì c’erano studenti molto motivati. Prima si trattava perlopiù di ragazze o signore svedesi interessate alla lingua italiana. Di solito avevamo dei corsi di mattina, perché allora le donne, soprattutto quelle borghesi, non lavoravano come oggi, e così avevano molto tempo libero. Ora le cose sono diverse e le donne svedesi hanno un ruolo nella società che in Italia se lo sognano. Ed è un problema per l’Italia: se fosse consentito alle donne italiane di lavorare e di affermarsi il nostro paese ne guadagnerebbe non soltanto in prestigio ma anche a livello economico. Qui in Svezia le donne lavorano e anche se ci sono ancora dei problemi sindacali relativi agli stipendi a volte minori di quelli degli uomini, non si possono fare paragoni con l’Italia.
Come dicevo all’inizio, gli svedesi mi piacciano, mi piacciono appunto per queste cose.
Poi sei diventato una star della radio e poi della televisione?
- Esatto, siccome avevo cominciato ad insegnare a livello universitario, la televisione e la radio svedesi mi proposero di fare insieme a Rolf Lundgren capostruttura dell’insegnamento linguistico alla radio un programma, Buongiorno Italia. Lundgren era un poliglotta che amava di più le lingue che non conosceva bene e l’italiano era una di queste. Cominciammo a lavorare aiutandoci a vicenda, ed avemmo successo, anche perché la radio era importante, non tanto nei grandi centri ma in provincia la gente ascoltava molto la radio. E così arrivò il corso di italiano! E abbiamo continuato per molti anni. Ora Rolf Lundgren parla molto bene l’italiano.
Questo è stato importante perché la lingua italiana era considerata una lingua minore, ricordo che ci furono molte battaglie guidate dal professor Boström dell’università di Stoccolma per rivendicare l’importanza della lingua.
La Folkuniversitet cominciò ad assumere insegnati di lingue che venivano dalla Germania, dalla Francia, dall’Inghilterra. Questa organizzazione Kursverksamhet vid Stockholms Högskola nacque nel 1933 in piena depressione e numerosi erano gli accademici, come li chiamavano loro, senza lavoro. Quindi l’organizzazione nacque per insegnare lingue straniere. C’erano però dei problemi con l’Italia, perché se veniva creato un lettorato di italiano in Svezia automaticamente si chiedeva che un lettorato perlomeno di lingue scandinave venisse creato in Italia. Cominciarono ad arrivare i primi lettori dall’Italia, tra gli altri Mario Moretti che è anche un commediografo. Moretti introdusse un modo nuovo di insegnare facendo fare teatro agli studenti e alle studentesse. La cosa piacque molto, e molte di queste studentesse si sono poi trasferite in Italia o hanno cominciato a fare carriera utilizzando la loro conoscenza della lingua italiana. Tanti amici dicevo, tra i quali molti sono morti. Sai mi avvicino agli ottanta e allora si ha la sensazione … che ormai l’avvenire sia dietro le spalle.
Pensi alla morte? Ne hai paura?
- Non ho paura della morte, ma io vedo quello che è rimasto di questa vita, e quindi voglio recuperare i vecchi rapporti interrotti quando avevo 24 anni, anche per questo penso di restare in Italia per periodi più lunghi. Quando vado in Italia sento quel parlare intorno a me… a me piace molto il cinema, e, un po’ impertinente, mi avvicino ai capannelli di persone che commentano il film rivolgendo loro domande. Sì, all’inizio restano un po’ interdetti, ma poi vogliono parlare volentieri. Questa è una cosa che in Svezia raramente si può fare.
Sei molto attivo nell'Associazione Dante Alighieri...
- Sì ma è una cosa degli ultimi anni. Ero socio della Dante da anni ma cinque anni fa ( - ) mi proposero se volevo fare il presidente perché il precedente, non so per quali motivi, se ne era andato. Accettai anche se non ero tanto convinto, avevo altri piani. L’ho fatto anche perché nel direttivo c’era Henrik Håkerman un mio intimo amico, morto quest’anno. Amava molto l’Italia, era di destra ma era un uomo molto aperto, molto simpatico e colto. Se ne andato giovane, aveva esattamente la mia età. Io dico giovane perché ormai si vive molto a lungo.
Parlaci de Il Ponte
- Io ero molto amico del compianto Stefano Menegalli. Insegnavamo italiano, eravamo amici e ci frequentavamo non soltanto qui a Stoccolma ma anche in Italia. Lui aveva fatto delle scelte molto difficili provenendo da una famiglia rigorosamente cattolica, lui ruppe con tutti gli schemi della famiglia lombarda. Noi pensammo fin dall’inizio di creare un’associazione aperta agli svedesi. Io provenivo dalla SAI dove allora si proponeva di non fare entrare soci
svedesi… E scegliemmo tra l’altro una signora, Monika Nanni che diventò la prima presidentessa. Coinvolgemmo gli studieförbund dove c’erano allievi interessati anche alla cultura italiana e non soltanto alla lingua. C’erano anche italiani naturalmente e il Ponte funziona ancora Il Ponte, come ponte appunto tra le due culture.
Perché gli italiani litigano così spesso?
- Ah ah. Ognuno difende le proprie idee fortunatamente, ognuno è convinto che le proprie idee siano migliori di quelle dell’altro, non c’è il tentativo di compromesso come per gli svedesi. Si litiga anche tra amici, poi si fa la pace anche se rimangono zone oscure… Anche con Stefano si avevano idee diverse… Poi avevamo la concorrenza dell’istituto di cultura che allora aveva abbastanza soldi. Così le cose organizzate da noi ricevevano un’attenzione minore. Io sono venuto in Svezia nel 1958 quando si stava costruendo l’ Istituto a Gärdet. Ricordo molto bene il primo direttore Ponzanelli. L’Istituto, prima della costruzione della nuova sede aveva dei locali a Linnègatan, ma era soltanto un appartamento...
Ponzanelli era un Direttore di grande esperienza e di solida cultura: un toscanaccio grande fumatore che spegneva le sigarette nei vasi facendo arrabbiare le signore delle pulizie. E poi sono venuti altri personaggi come la Pallavicini che aveva la grande capacità di trovare soldi per tutte le iniziative. Quando mancavano volava a Roma e ritornava con il gruzzolo. Poi c’era il caro amico Ferruccio Rossetti e Oreglia che insegnava italiano e aveva fondato l’editrice Italica. Ci fu, ricordo, una lotta tra la Pallavicini che voleva appropriarsi di questa casa editrice ed il povero Oreglia che ne voleva essere il direttore. Alla fine chi perse fu Oreglia nonostante le proteste dei suoi amici svedesi.
Sì, i direttori si lamentavano per il fatto che gli italiani che frequentavano l’istituto erano pochi. E noi delle associazioni cercavamo di spiegare che i loro programmi erano a livelli troppo “alti” per una popolazione di italiani che allora era per la maggioranza di origine operaia. Questi italiani anche quando andavano a rinnovare il passaporto si scontravano con una burocrazia che avevano dimenticato abitando in Svezia. Poi le cose sono cambiate grazie alle nuove tecnologie, alla rete…
Pensi ci sia un futuro per l’associazionismo italiano in Svezia? Mi riferisco soprattutto al coinvolgimento delle giovani generazioni.
- Spesso questi nuovi immigrati sono “le menti che fuggono” dall’Italia, quindi è una grande tragedia. Sono persone che conoscono perfettamente l’inglese quindi per loro il primo approccio è più semplice di quello delle generazioni passate. Ed una buona parte di essi trova lavoro in fretta all’università o nelle istituzioni. Certo parlo dei ricercatori perché per quelli che hanno una laurea in studi umanistici la cosa diventa più difficile. Gli svedesi cercavano una volta gli operai specializzati, ora cercano i ricercatori. Tutte persone di ottime qualità e qualifiche il che dimostra che l’Italia non è soltanto turismo o Berlusconi. Le scuole italiane funzionano bene nonostante tutto, anche i licei italiani!
Poi questi giovani vengono bloccati dalle baronie universitarie ma questo è un’altra storia. Questi giovani qui in Svezia se lavorano ed hanno famiglia non hanno il tempo per le associazioni. Ecco perché sembra ci sia un disinteresse per l’associazionismo.
Forse l’alternativa è che loro stessi creino dei gruppi per stare insieme. Certo oggi lo ripeto è molto più difficile per le associazioni. Vedi, fino agli anni ottanta ci si cercava per parlare in italiano, per mangiare italiano. Ora la cucina italiana va di moda almeno nelle grandi città. Il cibo italiano si trova ormai nei supermercati e questo anche grazie al lavoro di informazione diffusa tra gli svedesi dagli italiani che sono venuti qui 50 o 60 anni fa.
A cura di Guido Zeccola