Il primo sodalizio italiano in Svezia fu creato nel 1906 - scrive Christian Catomeris in “Gipskatter och positiv”, un pregevole studio della situazione in Svezia degli immigrati italiani all’inizio del 1900 - ma di questa associazione si conosce soltanto il nome “Patria e Concordia”. Il promotore di questa iniziativa fu Antonio Bellio, un intraprendente stuccatore, ex garibaldino e proprietario della prima Taverna italiana situata a Norrmalmstorg, una delle piazze più centrali di Stoccolma. Dai movimenti dei capitali sui conti bancari si presume che l’associazione, così come in seguito i sodalizi italiani, avesse dei fondi che devolveva ai connazionali bisognosi.
Dopo un paio d’anni di attività si verificò uno scisma all’interno dell’associazione che portò il gruppo dei dissidenti a fondare un nuovo sodalizio intitolato questa volta a Vittorio Emanuele.
Pare che le cause di questo scisma - asserisce Catomeris - siano da ricercare nei contrasti tra elementi monarchici conservatori e il gruppo che faceva capo a Bellio, sostenitore delle idee repubblicane che si ispiravano all’eroe dei due mondi. Ma non è da escludere - aggiunge l’autore del volume menzionato - che lo scisma sia potuto scaturire anche da contrasti personali di carattere sociale e persino da antagonismo regionale. Il gruppo dei suonatori di organetto di Parma e Piacenza, degli zampognari abruzzesi e molisani, i pallonari della ciociaria e dei figurinai lucchesi non era ben visto dagli stuccatori provenienti dalle regioni nord orientali, che non accettavano l’abbigliamento dimesso e i mestieri umili dei primi che ritenevano disonorevoli per il buon nome della comunità italiana. Ma nel 1909, un anno dopo lo scisma, i due gruppi si riunificarono in un unico sodalizio che prese il nome di Società Assistenziale Italiana di mutuo soccorso e beneficenza Principe di Piemonte. Non si trattava di un vero e proprio Club in quanto gli incontri tra i soci avvenivano molto sporadicamente e soltanto in occasioni particolari si organizzavano riunioni conviviali.
— Nella maggior parte delle occasioni i punti di ritrovo erano le nostre abitazioni - ha raccontato alcuni anni or sono a chi scrive Valborg Franchi1, una personalità di spicco della cultura svedese, essendo stata prima ballerina e poi direttrice della scuola di ballo della Regia Opera di Stoccolma.
Valborg Franchi, aveva sposato il figlio del poliedrico Antonio Franchi2, noleggiatore di organetti, produttore di figurine di gesso, gelataio e proprietario di immobili, che agli inizi del 1870 era approdato in Svezia divenendo ben presto il maggior datore di lavoro della comunità italiana a Stoccolma, e nel 1930 era stata presidente della sezione femminile della S.A.I. e aveva avuto contatto con numerosi membri della comunità italiana.
— Gli anni Venti - raccontava - erano anni duri per tutti in Svezia. La gente moriva letteralmente di fame e la miseria si toccava con mano. Oggi purtroppo, con il benessere diffuso esistente, si ha l’impressione che la gente abbia dimenticato quei brutti anni e tutti vivono isolati, nessuno cerca più la comunanza. Allora, quando la povertà era un fenomeno esteso, – continua il racconto di Valborg Franchi – si sentiva il bisogno di aiutare il prossimo ed è per questo motivo che nacque la Società Assistenziale Italiana. Si aiutava chi aveva necessità,per la maggior parte famiglie colpite da disgrazie immani, individui che rimanevano senza lavoro, persone colpite da gravi mali. I casi venivano segnalati al sodalizio dalla legazione diplomatica italiana, dai sacerdoti della missione cattolica e dalle suore elisabettiane, molte volte persino dalle autorità svedesi, e si cercava subito di racimolare denaro, vestiario, generi alimentari di prima necessità, ricorrendo alla generosità delle persone più abbienti, ai due o tre ristoranti italiani esistenti a Stoccolma in quell’epoca e al buon cuore dei soci. Si organizzavano tombole e bazar, in special modo in concomitanza delle feste natalizie, e ciò che si raccoglievaserviva per fare trascorrere le festività in grazia di Dio anche a quelle persone che vivevano decorosamente in miseria, ed erano tante. --
E così, quando verso la fine degli anni Quaranta l’Atlas Diesel, oggi Atlas Copco, reclutò manodopera specializzata dall’Italia e, alcuni anni dopo, decise di mettere a disposizione degli operai italiani dei locali ove potessero socializzare, si ritenne opportuno di non creare un doppione e di incorporare a Nacka la S.A.I. che in tal modo divenne il sodalizio più importante per i lavoratori italiani nella capitale. La SAI ha festeggiato il Centenario nel 2009 ed ha pubblicato un volume dal titolo “Cento anni di memorie”.
A Stoccolma esisteva anche Svenska-Italienska Förening (l’Associazione italo-svedese), collegata alla Società Dante Alighieri, che organizzava conferenze e serate culturali, diffondendo la conoscenza della cultura italiana nel paese. Questo sodalizio, che negli agli Sessanta era presieduto dal famoso gioielliere Bolin, un amico sincero dell’Italia, è stato parzialmente “castigato” dall’avvento, verso la fine degli anni Cinquanta, dell’Istituto Italiano di Cultura che, con il suo ricco e variegato programma di manifestazioni e di corsi di lingua italiana, ha concentrato nella sua prestigiosa sede l’interesse degli svedesi e di quegli italiani interessati a ciò che avviene in Italia nell’ambito della cultura.
Dal 1948 in poi vennero fondati Club Italiani un po’ dappertutto, a Malmö, Västerås, Göteborg, Hallstahammar e, in seguito, a Linköping, Jönköpin e in altri centri ove esisteva una rappresentanza italiana abbastanza consistente. Le industrie dove lavoravano i lavoratori italiani, mettevano a disposizione i locali, gli assessorati per il tempo libero dei comuni elargivano contributi, in seguito integrati con quelli messi a disposizione dal governo italiano attraverso l’Ambasciata e con le quote dei soci. I Club riuscirono così ad acquistare il necessario per rendere piacevoli le serate dei soci istituendo il servizio bar e di ristoro ove le autorità, con speciali dispense, autorizzavano la mescita del vino e, mentre in precedenza si frequentava il club quasi esclusivamente per giocare a carte o a biliardo, ora c’è qualcuno che va a consultare i libri esistenti nella biblioteca, ad ascoltare conferenze e a vedere i programmi Rai. Grazie all’esistenza di questi Club, l’italiano nella diaspora non si sente più tanto isolato dalla propria terra ed è a conoscenza in tempo reale di ciò che avviene in Italia.
A Stoccolma inoltre, verso la metà degli anni Cinquanta, era nato il CIS - Club Italiano Stoccolma - un altro sodalizio che accomunava le persone che aborrivano il gioco della carte e del biliardo preferendo il ballo e la buona tavola. Il CIS non aveva una sede propria e il direttivo si riuniva sporadicamente all’Istituto Italiano di Cultura per decidere il programma delle serate che normalmente avevano luogo al ristorante Göta Källare e, più tardi, nel ristorante italiano ubicato nello stabile del Politecnico a Valhallavägen.
Animatore, maestro di feste e indiscusso cerimoniere di questo club, era Riccardo Nevoli, un pugliese che lavorava all’AGA di Lidingö, sempre impeccabilmente abbigliato in smoking nero con farfallina. Del direttivo facevano parte Mario Castellana, Giancarlo Padovani, Riccardo e Archimede Nevoli e chi scrive, che per tre anni, agli inizi degli anni Sessanta, ha ricoperto la carica di presidente.
In più occasioni Mario Orano – all’epoca console onorario d’Italia nel cui ufficio a Sveavägen era sempre nascosto da pile di carte situate sui tavoli e sui mobili che lo circondavano - si rivolgeva di frequente al CIS perché si portasse qualcosa da mangiare a bordo di una nave sotto sequestro, non avendo l’equipaggio avuto il salario da mesi oppure a causa dei sigilli fatti apporre dai cantieri navali per il mancato pagamento, da parte dell’armatore, di riparazioni effettuate. Colui che arrivava in Svezia, e verso la fine degli anni Cinquanta erano in tanti, richiamati dal fascino delle ragazze bionde che affollavano le spiagge italiane, veniva accolto generalmente dal console Orano con bonaria rudezza. Il ritornello era sempre lo stesso: il nuovo arrivato si presentava al consolato per essere aiutato a cercare lavoro e il console lo esortava a rientrare in Italia! Credo che tutti coloro che sono venuti in Svezia in cerca di ventura - quelli che normalmente definisco emigrati per amore, - abbiano sentito le esortazioni di Orano: « Meglio pane e cipolle in casa propria, credetemi»!
Erano gli anni in cui tra le bionde e avvenenti vichinghe imperversava la passione per i strandraggare, i vitelloni da spiaggia, e nei locali alla moda della capitale si esibivano orchestre italiane di successo. Bruno Martino iniziò appunto da Stoccolma la sua ascesa e dal night club dello Strand Hotel spiccò il volo direttamente per il Festival di Sanremo. Ma la più popolare tra le decine di complessini, che girando per l’Europa si avventuravano fino a Stoccolma e Helsinki, era l’orchestra Casamatta, le cui canzoni, “alla Renato Carosone”, venivano costantemente mandate in onda dalla radio svedese, dove un giovane aretino – cercava di insegnare agli ascoltatori i primi elementi della nostra lingua intercalando la grammatica alle canzoni e immancabilmente – come scrisse Enzo Biagi in un articolo da Stoccolma – “cuore faceva sempre
rima con amore”. Il giovane toscano si chiamava Gianni Buoncompagni, ed era approdato anche lui in queste latitudini per amore.
Mario Orano, dicevamo, proveniva dal giornalismo: era stato corrispondente da Helsinki dell’Agenzia Stefani durante la guerra finnico-russa. Nella capitale finlandese a quell’epoca, insieme ad Orano, vi erano altri due corrispondenti di guerra italiani: Indro Montanelli e Curzio Malaparte che, ammalatosi, si trasferì a Stoccolma, ove scrisse “Kaputt”, il libro che racconta la fine del secondo conflitto mondiale e che inizia appunto con la descrizione del parco di Oakhill, sede dell’Ambasciata d’Italia a Stoccolma.
Durante la permanenza a Helsinki, Mario Orano aveva incontrato Katja, una minuta e dolcissima finlandese che lo seguiva come un’ombra, amorevolmente, finché negli anni Settanta, il simpatico e gioviale “signor Consolato” - come lo chiamavo affettuosamente parodiando i magliari napoletani che l’ossequiavano in tal guisa - lasciò questa terra per passare a miglior vita.
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In seguito, le condizioni di vita degli operai specializzati italiani erano notevolmente migliorate. Non che navigassero nell’oro - come era stato a loro promesso dal giornalista del Popolo - ma avevano raggiunto un certa tranquillità economica.
Gl’immigrati della fine degli anni Cinquanta, che iniziarono facendo inizialmente lavori umili, con la padronanza della lingua iniaziarono a superare le barriere e, dotati di buona dose di fantasia e di iniziativa, crearono un migliaio di pizzerie e ristoranti in tutto il paese; diventerono rappresentanti di calzaturifici che aprirono poi negozi, dando un buon avvio alle importazione di generi eno-gastronomici dall’Italia.
Inoltre, essendo il costo dei viaggi aerei diventato più accessibile, durante i periodi di bassa stagione, approfittando delle offerte speciali delle compagnie aeree e dei charter, un numero sempre maggiore di italiani, e soprattutto quelli che avevano ormai raggiunto l’età del pensionamento, trascorre in Italia i mesi più rigidi dell’anno e ritorna in Svezia quando la calura diventa insopportabile. Con l’auto inoltre si abbreviano, ogni anno sempre di più, le distanze tra il nord e il sud dell’Europa.
Ciò che ha maggiormente contribuito ad accorciare i tempi di viaggio è stato l’ampliamento dell’autostrada che da Rostock, nell’ex Germania orientale, porta a Monaco di Baviera, la costruzione del nuovo ponte sulla Stora Bältet, che collega Copenaghen con il resto dell’Europa senza dover traghettare e infine il nuovo ponte su Öresund, lo stretto che separa la Svezia dalla Danimarca, l’Italia può essere raggiunta in auto con ulteriore risparmio di tempo.
Ma negli ultimi anni, purtroppo, con l’avvento della televisione e la scomparsa dei primi immigrati del dopoguerra, l’interesse di frequentare i sodalizi va man man scemando. Le nuove generazioni sono ormai inserite a pieno titolo nella società svedese; i nuovi arrivati – prevalentemente con titoli di studio e buona conoscenza della lingua inglese – non trovano le difficoltà d’inserimento che avevano i loro predecessori.
Si nota però una buona volontà da parte di coloro che cercano di mantenere salde le tradizioni associative della comunità italiana – malgrado le gravi difficoltà economiche sopravvenute dopo i tagli dei contributi da parte della Svezia e dell’Italia.
Concludo porgendo al presidente Manlio Palocci e ai consiglieri tutti della FAIS, e in special modo a Guido Zeccola, Valerio Re e a tutti coloro che collaborano per la rinascita e il ripopolamento dei club, i miei auguri più fervidi.
Angelo Tajani