Giovanni Montanaro è un giovane scrittore italiano. Di recente il suo ultimo libro Tutti i colori del mondo è stato pubblicato da Bonnier (Världens alla färger) riscuotendo favore sia di pubblico che di critica. Io ho incontrato Montanaro presso l'istituto italiano di cultura a Stoccolma, un vero gioiello di architettura per chi non l'avesse
mai visto*.
Tutti i colori del mondo Världens alia färger il tuo terzo libro è stato da poco tradotto in svedese per tipi della Bonnier la casa editrice più prestigiosa. Sono sicuro che il libro avrà successo non solo perché la critica ne parla molto bene soprattutto per la struttura delle frasi. II fatto che il libro sia in sostanza una lettera mai inviata, è vicino alla tradizione svedese che preferisce la semplicità della frase, la sua cadenza breve.
Quando tu scrivi cerchi di ascoltare i personaggi che cercano di raccontare la loro storia, quindi non lo fai con uno scopo pensato prima, ben preciso neanche nello stile di scrittura.
Comunque la storia e ambientata nel nord dell'Europa, nel Belgio fiammingo, quindi affinità con la Svezia ci dovrebbero essere in qualche modo. Io sto cercando di crescere come scrittore, ho scelto una scrittura semplice, spero non banale, forse anche ispirato dalla mia professione di avvocato dove bisogna lavorare sulle cose concrete e in letteratura appunto non cercare di lavorare ad uno stile fine a se stesso.
Världens alla färger è un romanzo epistolare composto da una sola lettera che la donna che scrive indirizza a Van Gogh. Teresa Senzasogni si chiama. Tu scrivi immaginandoti Teresa? Tu scrivi come una donna?
Credo di essere riuscito a diventare una donna mentre scrivevo. Questo al di là del ruolo e del gender. E stato qualcosa che ho scoperto gradualmente perché il romanzo lo avevo iniziato in terza persona. Ma mi sono accorto che la cosa non funzionava. Ma poi quando ci ho riprovato le prime parole che ho scritto sono state: "Caro signor Van Gogh". In effetti lo stesso Van Gogh comunicava poco, a parte la pittura, il suo mezzo per comunicare erano le lettere, lui scriveva molte lettere. Quindi Teresa scrive imitandolo. La scrittura di una lettera presuppone l'assenza di qualcuno a cui la lettera e rivolta, Si scrive nell'assenza cercando di trasformare con le parole quell'assenza in trasparente presenza. Questo e decisivo per Teresa.
Teresa Senzasogni, il cognome mi fa pensare ad Amleto: "0 Dio, potrei essere confinato in un guscio di noce e considerami il Re di uno spazio infinito, se solo non facessi brutti sogni". Teresa Ha paura di sognare?
Sì forse sì, lei ha paura. Ma non avevo mai pensato a questo. Io ho cercato di mantenermi sempre vicino allo spirito di Van Gogh al suo stesso modo di percepire il mondo. None stato facile, anche per quei dettagli. Per esempio la sedia vuota dipinta da Van Gogh (ci penso vedendo queste sedie qui all'istituto ideate da Giò Ponti) una sedia che presuppone l'attesa di una presenza imminente o la nostalgia di una assenza improvvisa, 1'assenza di qualcuno Gauguin che occupava quello spazio. Ed anche la propria solitudine su quella sedia.
Quando Teresa vede Van Gogh nel manicomio capisce che c' è qualcuno che in qualche modo vive le sue stesse emozioni, una vita degna di essere raccontata qualsiasi essa sia. Qualcuno le ha spento la vita, pero i colori esistono anche al buio.
Il libro non e un saggio su Van Gogh altrimenti avresti forse scritto un altro libro.
Questo romanzo è nato dalla scoperta di Gheel questo paese del Belgio, la citta dei folli. Una citta che si occupa dei malati mentali sin dal medioevo. Da questa società psichiatrica si trovo a passare anche Van Gogh. In questa specie di corpo a corpo con lui ho capito che dovevo dare tutto me stesso per scrivere, attraverso Teresa, ad un artista che, a parte le sue opere, non comunicava che attraverso delle lettere.
La sua disperazione le sue cadute e la ricerca di un amore impossibile, benché siano quelle di un artista, folle ma di quella follia che nelle società arcaiche era vissuta e considerata come un dono divino, ecco questa disperazione e anche forse uno stato dell'essere nel quale tutti noi in qualche momento della vita si sono rispecchiati.
Gheel significa giallo, anche in svedese abbiamo la parola Gul, un colore molto presente in Van Gogh, il colore che e stato associato alia follia. Vorrei che ci parlassi di santa Dimfna la santa di Gheel, la santa dei folli.
Dinfna era figlia di un re Irlandese Damon, e di una bellissima donna cristiana. La ragazza ve1me cresciuta sin dalla nascita da un prete, Gerebernus, che la battezzo. II padre era affetto da qualche genere di malattia mentale e, quando la madre mori quando Dinfna aveva 14 anni e suo padre viaggio in tutto il mondo occidentale alia ricerca di un'altra donna, non trovandola: tomato a casa, vide che la figlia era bella quanto la madre e, reso folle dal dolore, cerco in Dinfna una traccia di lei. Era una ossessione che sfiorava l'incesto. Dinfna, per salvarsi fuggi con il suo anziano confessore Gerebernus nel continente europeo, raggiungendo i boschi che circondavano la foresta di Geel.
Damon li inseguì, giungendo anch'egli in Belgio: ivi, un oste rifiuto le sue monete straniere, sapendo che erano difficili da cambiare. Dato che era insolito per un taverniere di villaggio conoscere le valute straniere e che aveva già visto la sua, Damon capi che sua figlia era vicina, e concentro le ricerche nella zona. Li trovo infine presso 1a Cappella di San Martino a Geel dove i due, credendosi al sicuro, si erano votati alia vita contemplativa. Decapito subito il sacerdote, e poi anche la f1glia, quando questa rifiuto nuovamente di arrendersi al padre.
Al momento della morte, Dinfna era solo quindicenne. Sul luogo ove era avvenuto il martirio si susseguirono svariati miracoli fra cui la cura di persone malate di mente o possedute, e anche le reliquie di Dinfna sono dette in possesso di tali capacita. La santa ve1me perciò dichiarata patrona delle persone affette da malattie mentali. Questi malati arrivavano da tutta L’Europa, e i responsabili del culto furono costretti a rivolgersi agli abitanti del paese pregandoli di aiutarli. Fu allora che ve1me creata una comunità di cui facevano parte i malati ed i sani. Questo e un caso strano anche nell'800, perché a differenza del medioevo e dell'antichità, il folle viene allontanato dalla società, il folle viene internato. Nasce, come direbbe Foucault, La Clinica.
Tutti i colori mondo è II tuo terzo libro. Le conseguenze e la croce di Honninfjord lo precedano. Honninfjord è ambientato in Norvegia in una citta che si chiama lngenting, cioè Niente in Italiano. Hai una predisposizione particolare il nord Europa...
- Si certo, ma i libri a volte sono loro a cercarti. In quel libro c'erano due aspetti che mi interessavano. II prima e legato alia dimensione europea, abbiamo una storia comune tra Italia e Scandinavia. Per la Norvegia c’è la resistenza contro il Nazismo, per esempio il sabotaggio di alcuni traghetti che impedirono ai tedeschi di usare la bomba atomica. Poi mi interessava il contrasto tra una citta che si chiama Niente e il più grande archivio musicale al mondo che sorge, nel libro, proprio a lngenting. Perché l'archivio musicale lo ho piazzato proprio lì, perché intorno all'ottavo, nona secolo la musica gregoriana comincia ad essere messa in discussione proprio lì tra i paesi fiamminghi e la Norvegia. Una musica bellissima ma monodica, cioè che si basa su di una nota sola. L'idea teocratica non poteva acconsentire ad una forma musicale polifonica, in quanta l'unicità di dio comporta l'unicità di tutte le forme. Ecco che tra le Fiandre e la Norvegia il monaco che fugge dal convento propagava l'idea che la pluralità delle cose (e quindi nella musica) e possibile, anzi auspicabile.
Stai scrivendo qualcosa di nuovo in questa periodo?
Sì un libro nuovo esce a ottobre. A me piace dire che è una favola. Lo stile di scrittura e nuovo. È la storia di un vecchio signore e il responsabile di un deposito giudiziario dove arrivano le cose più disparate come i vecchi lasciati che nessuno vuole prendere, oggetti smarriti o pignorati. Lui e ormai un uomo solo, si, chiede l'amore impossibile di una postina ma e sostanzialmente solo.
Ad un certo momento qualcuno gli chiede di prendere qualcosa nel deposito ed ecco che l’inaspettato si mostra. È un bambino che ha trovato nascondiglio proprio li. Un bambino straniero, clandestine, un bambino solo che non parla la nostra lingua. Tra i due, nonostante non parlino la stessa lingua si stabilisce una relazione. II vecchio cerca di proteggerlo fino a quando qualcuno viene perché vorrebbe portarlo via. Allora la situazione precipita... Ma non voglio raccontare il finale.
Intervista a cura di Guido Zeccola
Tutti i colori del mondo Världens alia färger il tuo terzo libro è stato da poco tradotto in svedese per tipi della Bonnier la casa editrice più prestigiosa. Sono sicuro che il libro avrà successo non solo perché la critica ne parla molto bene soprattutto per la struttura delle frasi. II fatto che il libro sia in sostanza una lettera mai inviata, è vicino alla tradizione svedese che preferisce la semplicità della frase, la sua cadenza breve.
Quando tu scrivi cerchi di ascoltare i personaggi che cercano di raccontare la loro storia, quindi non lo fai con uno scopo pensato prima, ben preciso neanche nello stile di scrittura.
Comunque la storia e ambientata nel nord dell'Europa, nel Belgio fiammingo, quindi affinità con la Svezia ci dovrebbero essere in qualche modo. Io sto cercando di crescere come scrittore, ho scelto una scrittura semplice, spero non banale, forse anche ispirato dalla mia professione di avvocato dove bisogna lavorare sulle cose concrete e in letteratura appunto non cercare di lavorare ad uno stile fine a se stesso.
Världens alla färger è un romanzo epistolare composto da una sola lettera che la donna che scrive indirizza a Van Gogh. Teresa Senzasogni si chiama. Tu scrivi immaginandoti Teresa? Tu scrivi come una donna?
Credo di essere riuscito a diventare una donna mentre scrivevo. Questo al di là del ruolo e del gender. E stato qualcosa che ho scoperto gradualmente perché il romanzo lo avevo iniziato in terza persona. Ma mi sono accorto che la cosa non funzionava. Ma poi quando ci ho riprovato le prime parole che ho scritto sono state: "Caro signor Van Gogh". In effetti lo stesso Van Gogh comunicava poco, a parte la pittura, il suo mezzo per comunicare erano le lettere, lui scriveva molte lettere. Quindi Teresa scrive imitandolo. La scrittura di una lettera presuppone l'assenza di qualcuno a cui la lettera e rivolta, Si scrive nell'assenza cercando di trasformare con le parole quell'assenza in trasparente presenza. Questo e decisivo per Teresa.
Teresa Senzasogni, il cognome mi fa pensare ad Amleto: "0 Dio, potrei essere confinato in un guscio di noce e considerami il Re di uno spazio infinito, se solo non facessi brutti sogni". Teresa Ha paura di sognare?
Sì forse sì, lei ha paura. Ma non avevo mai pensato a questo. Io ho cercato di mantenermi sempre vicino allo spirito di Van Gogh al suo stesso modo di percepire il mondo. None stato facile, anche per quei dettagli. Per esempio la sedia vuota dipinta da Van Gogh (ci penso vedendo queste sedie qui all'istituto ideate da Giò Ponti) una sedia che presuppone l'attesa di una presenza imminente o la nostalgia di una assenza improvvisa, 1'assenza di qualcuno Gauguin che occupava quello spazio. Ed anche la propria solitudine su quella sedia.
Quando Teresa vede Van Gogh nel manicomio capisce che c' è qualcuno che in qualche modo vive le sue stesse emozioni, una vita degna di essere raccontata qualsiasi essa sia. Qualcuno le ha spento la vita, pero i colori esistono anche al buio.
Il libro non e un saggio su Van Gogh altrimenti avresti forse scritto un altro libro.
Questo romanzo è nato dalla scoperta di Gheel questo paese del Belgio, la citta dei folli. Una citta che si occupa dei malati mentali sin dal medioevo. Da questa società psichiatrica si trovo a passare anche Van Gogh. In questa specie di corpo a corpo con lui ho capito che dovevo dare tutto me stesso per scrivere, attraverso Teresa, ad un artista che, a parte le sue opere, non comunicava che attraverso delle lettere.
La sua disperazione le sue cadute e la ricerca di un amore impossibile, benché siano quelle di un artista, folle ma di quella follia che nelle società arcaiche era vissuta e considerata come un dono divino, ecco questa disperazione e anche forse uno stato dell'essere nel quale tutti noi in qualche momento della vita si sono rispecchiati.
Gheel significa giallo, anche in svedese abbiamo la parola Gul, un colore molto presente in Van Gogh, il colore che e stato associato alia follia. Vorrei che ci parlassi di santa Dimfna la santa di Gheel, la santa dei folli.
Dinfna era figlia di un re Irlandese Damon, e di una bellissima donna cristiana. La ragazza ve1me cresciuta sin dalla nascita da un prete, Gerebernus, che la battezzo. II padre era affetto da qualche genere di malattia mentale e, quando la madre mori quando Dinfna aveva 14 anni e suo padre viaggio in tutto il mondo occidentale alia ricerca di un'altra donna, non trovandola: tomato a casa, vide che la figlia era bella quanto la madre e, reso folle dal dolore, cerco in Dinfna una traccia di lei. Era una ossessione che sfiorava l'incesto. Dinfna, per salvarsi fuggi con il suo anziano confessore Gerebernus nel continente europeo, raggiungendo i boschi che circondavano la foresta di Geel.
Damon li inseguì, giungendo anch'egli in Belgio: ivi, un oste rifiuto le sue monete straniere, sapendo che erano difficili da cambiare. Dato che era insolito per un taverniere di villaggio conoscere le valute straniere e che aveva già visto la sua, Damon capi che sua figlia era vicina, e concentro le ricerche nella zona. Li trovo infine presso 1a Cappella di San Martino a Geel dove i due, credendosi al sicuro, si erano votati alia vita contemplativa. Decapito subito il sacerdote, e poi anche la f1glia, quando questa rifiuto nuovamente di arrendersi al padre.
Al momento della morte, Dinfna era solo quindicenne. Sul luogo ove era avvenuto il martirio si susseguirono svariati miracoli fra cui la cura di persone malate di mente o possedute, e anche le reliquie di Dinfna sono dette in possesso di tali capacita. La santa ve1me perciò dichiarata patrona delle persone affette da malattie mentali. Questi malati arrivavano da tutta L’Europa, e i responsabili del culto furono costretti a rivolgersi agli abitanti del paese pregandoli di aiutarli. Fu allora che ve1me creata una comunità di cui facevano parte i malati ed i sani. Questo e un caso strano anche nell'800, perché a differenza del medioevo e dell'antichità, il folle viene allontanato dalla società, il folle viene internato. Nasce, come direbbe Foucault, La Clinica.
Tutti i colori mondo è II tuo terzo libro. Le conseguenze e la croce di Honninfjord lo precedano. Honninfjord è ambientato in Norvegia in una citta che si chiama lngenting, cioè Niente in Italiano. Hai una predisposizione particolare il nord Europa...
- Si certo, ma i libri a volte sono loro a cercarti. In quel libro c'erano due aspetti che mi interessavano. II prima e legato alia dimensione europea, abbiamo una storia comune tra Italia e Scandinavia. Per la Norvegia c’è la resistenza contro il Nazismo, per esempio il sabotaggio di alcuni traghetti che impedirono ai tedeschi di usare la bomba atomica. Poi mi interessava il contrasto tra una citta che si chiama Niente e il più grande archivio musicale al mondo che sorge, nel libro, proprio a lngenting. Perché l'archivio musicale lo ho piazzato proprio lì, perché intorno all'ottavo, nona secolo la musica gregoriana comincia ad essere messa in discussione proprio lì tra i paesi fiamminghi e la Norvegia. Una musica bellissima ma monodica, cioè che si basa su di una nota sola. L'idea teocratica non poteva acconsentire ad una forma musicale polifonica, in quanta l'unicità di dio comporta l'unicità di tutte le forme. Ecco che tra le Fiandre e la Norvegia il monaco che fugge dal convento propagava l'idea che la pluralità delle cose (e quindi nella musica) e possibile, anzi auspicabile.
Stai scrivendo qualcosa di nuovo in questa periodo?
Sì un libro nuovo esce a ottobre. A me piace dire che è una favola. Lo stile di scrittura e nuovo. È la storia di un vecchio signore e il responsabile di un deposito giudiziario dove arrivano le cose più disparate come i vecchi lasciati che nessuno vuole prendere, oggetti smarriti o pignorati. Lui e ormai un uomo solo, si, chiede l'amore impossibile di una postina ma e sostanzialmente solo.
Ad un certo momento qualcuno gli chiede di prendere qualcosa nel deposito ed ecco che l’inaspettato si mostra. È un bambino che ha trovato nascondiglio proprio li. Un bambino straniero, clandestine, un bambino solo che non parla la nostra lingua. Tra i due, nonostante non parlino la stessa lingua si stabilisce una relazione. II vecchio cerca di proteggerlo fino a quando qualcuno viene perché vorrebbe portarlo via. Allora la situazione precipita... Ma non voglio raccontare il finale.
Intervista a cura di Guido Zeccola
* L'Istituto Italiano di Cultura di Stoccolma è stato pensato e voluto dallo stesso Giò Ponti: i materiali da costruzione (pietra arenaria, marmo di Carrara, vetro, linoleum ecc.), i colori, i mobili, i dettagli degli interni, le luci ecc. Con Ponti collaborò anche un altro nome famoso dell'architettura italiana del Novecento, Pier Luigi Nervi: a lui si deve tra l'altro il magnifico soffitto dell'auditorio. All'inizio degli anni Sessanta il foyer dell'Istituto fu ampliato su progetto dell'architetto italiano, residente in Svezia, Ferruccio Rossetti. L'architetto svedese Torbjörn Olsson, riferendosi alla forma e alla posizione dell'Istituto Italiano di Cultura, lo ha definito "elegante come una scarpa da donna abbandonata in un prato".